Immaginando che questa sia per davvero la sua ultima opera, C’era una volta a Hollywood è può essere considerato il capolavoro META di Tarantino. Questo non significa che sia un bel film, almeno nell’accezione più comune. Rimangono quasi tre ore di tre storie che non vanno da nessuna parte, che non portano a niente, che non concludono niente. Difficile però che uno come Tarantino, regista icona, all’ottavo film, faccia le cose alla cazzo di cane: per come la vedo io, il regista ha deciso di salutare fans e critica con una scoreggia, un vaffanculo nascosto sotto il ciuffo di Brad Pitt e le faccette di Di Caprio. Quello che ha fatto è stato prendere tutti gli elementi che l’uomo comune attribuisce al suo cinema, tutti quegli elementi che sono stati abusati da altri registi ed hanno quindi iniziato ad intossicare il mondo del cinema, e ci ha fatto su una pellicola. Chi si aspettava la cosa più vicina a Pulp Fiction degli ultimi 25 anni andrà incontro ad un’amara delusione. Non c’è nessun intreccio brillante, non c’è nessuna citazione che diventerà leggendaria. Tarantino prende tutte le becere “tarantinate” e le mette di fila per farci il film ‘Youtube’, nel senso che, ovvio, ci saranno sempre quelle scene che vuoi raccontare agli amici perché è una figada. Tarantino prende per il culo tutti quanti proponendo la peggiore macchietta di sé stesso, sbattendoci in faccia l’evidenza di non averlo mai compreso davvero, o perlomeno di averlo glorificato a torto solo lo stile della sua produzione, dimenticando la sostanza.
Boh, volete l’elenco delle tarantinate? Ossessione maniacale al dettaglio per fuffa dei tempi andati a cui nessuno fa più caso (se non quegli hipster che lui ha contribuito a creare), elementi fun del guardaroba o della tecnologia, musica d’epoca con successi oscuri che principalmente ricorda solo lui, fetish per i piedi in primo piano, sigarette Red Apple, ultraviolenza che sfocia nel b-movie, pure ripetizione dello stesso trucchetto usato in “Inglorious Basterds”… Certamente è la ricostruzione più vivida ed ossessiva di un ‘period piece’, dove niente è lasciato al caso ed è davvero funzionale nel proiettarti nel mondo della celebrità, della celluloide, e di quelli che fanno di tutto per rimanerci dentro della Hollywood anni ‘60. E’ un non-film sui film, vedi l’uso esteso di materiale d’archivio, il fatto che il personaggio di Al Pacino ci tenga a spiegare quando proietta un 35mm o un 16mm, il fatto che i personaggi vivano di e attraverso la celluloide.
L’opera è una favola, il titolo in fondo è chiaro, dove i tre personaggi cercano di giustificare la propria esistenza attraverso il rapporto con lo schermo. E su questo ci va con il PENNARELLONE. Se i personaggi non sono direttamente sul set o in auto (e cene sono di scene; ad un certo punto credevo fosse un film sulle nuche di persone al volante), ci sarà sempre una TV accesa o simili. La famiglia Manson guarda la TV e vive in un set abbandonato, Pitt vive dietro un drive in e la TV è accesa anche se non è in roulotte, a casa di Di Caprio si guarda la tv o si aggiusta l’antenna. Di Caprio è un caratterista che sta rischiando di rimanere intrappolato nel personaggio: come spiega il manager Al Pacino, i buoni che lo ammazzano sullo schermo gli stanno anche ammazzando la carriera, la vita reale. Pitt è la sua controfigura e uomo di fatica: fa sul serio le cose che Di Caprio non fa –o fa finta di fare- ma senza Di Caprio la sua esistenza collasserebbe. Mi sento MORTIFICATO per la povera Margot Robbie: non si può dire di no a Tarantino, ma questa è passata dalla nomination all’Oscar ad un ruolo assolutamente superfluo. La sua Sharon Tate si aggira per il set come la peggiore oca svampita di Hollywood, solo feste e villona, e che cerca affermazione entrando al cinema per vedersi sul grande schermo.
E’ un boccone molto difficile da digerire, rimane un film sfasatissimo –più che un ottovolante di emozioni- mediamente una commediuola con un paio di momenti di tensione, ma affogati in troppa presunzione.
Però quanto è figo Brad Pitt e quanto è CERBIATTONA la ragazzina hippie che hanno pescato.